COUPS DE COEUR POETIQUES
Vous souhaitez réagir à ce message ? Créez un compte en quelques clics ou connectez-vous pour continuer.
Le Deal du moment : -26%
369€ PC Portable HP 15-fd0064nf – ...
Voir le deal
369.99 €

Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837)

Aller en bas

Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) Empty Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837)

Message  Gil Def Sam 8 Juin - 17:16

  Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) 989837  Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) 989837  Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) 989837  


Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) Italie12

Giacomo LEOPARDI
1798-1837

Le ricordanze - Giacomo Leopardi (1798-1837) Leopar11



Le ricordanze - Les souvenirs


Voce : Sergio Carlacchiani




Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva; e sotto al patrio tetto
Sonavan voci alterne, e le tranquille
Opre de' servi. E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Ignaro del mio fato, e quante volte
Questa mia vita dolorosa e nuda
Volentier con la morte avrei cangiato.

Nè mi diceva il cor che l'età verde
Sarei dannato a consumare in questo
Natio borgo selvaggio, intra una gente
Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
Argomento di riso e di trastullo,
Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
Per invidia non già, che non mi tiene
Maggior di se, ma perchè tale estima
Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
A persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
Tra lo stuol de' malevoli divengo:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
E sprezzator degli uomini mi rendo,
Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
Il caro tempo giovanil; più caro
Che la fama e l'allor, più che la pura
Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
Senza un diletto, inutilmente, in questo
Soggiorno disumano, intra gli affanni,
O dell'arida vita unico fiore.

Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
Dolce per se; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,
Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna, agli ozi miei
Porser mille diletti allor che al fianco
M'era, parlando, il mio possente errore
Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.

O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! sempre, parlando,
Ritorno a voi; che per andar di tempo,
Per variar d'affetti e di pensieri,
Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
Son la gloria e l'onor; diletti e beni
Mero desio; non ha la vita un frutto,
Inutile miseria. E sebben vóti
Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
Il mio stato mortal, poco mi toglie
La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
A voi ripenso, o mie speranze antiche,
Ed a quel caro immaginar mio primo;
Indi riguardo il viver mio sì vile
E sì dolente, e che la morte è quello
Che di cotanta speme oggi m'avanza;
Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
Consolarmi non so del mio destino.
E quando pur questa invocata morte
Sarammi allato, e sarà giunto il fine
Della sventura mia; quando la terra
Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
Risovverrammi; e quell'imago ancora
Sospirar mi farà, farammi acerbo
L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
Del dì fatal tempererà d'affanno.

E già nel primo giovanil tumulto
Di contenti, d'angosce e di desio,
Morte chiamai più volte, e lungamente
Mi sedetti colà su la fontana
Pensoso di cessar dentro quell'acque
La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
Malor, condotto della vita in forse,
Piansi la bella giovanezza, e il fiore
De' miei poveri dì, che sì per tempo
Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
Sul conscio letto, dolorosamente
Alla fioca lucerna poetando,
Lamentai co' silenzi e con la notte
Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
In sul languir cantai funereo canto.

Chi rimembrar vi può senza sospiri,
O primo entrar di giovinezza, o giorni
Vezzosi, inenarrabili, allor quando
Al rapito mortal primieramente
Sorridon le donzelle; a gara intorno
Ogni cosa sorride; invidia tace,
Non desta ancora ovver benigna; e quasi
(Inusitata maraviglia!) il mondo
La destra soccorrevole gli porge,
Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
Suo venir nella vita, ed inchinando
Mostra che per signor l'accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d'un lampo
Son dileguati. E qual mortale ignaro
Di sventura esser può, se a lui già scorsa
Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?

O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
E' deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,
E l'abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti; e come un sogno
Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte
La gioia ti splendea, splendea negli occhi
Quel confidente immaginar, quel lume
Di gioventù, quando spegneali il fato,
E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
Se a radunanze io movo, infra me stesso
Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
Tu non ti acconci più, tu più non movi.
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
Van gli amanti recando alle fanciulle,
Dico: Nerina mia, per te non torna
Primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
Dico: Nerina or più non gode; i campi,
L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
Sospiro mio: passasti: e fia compagna
D'ogni mio vago immaginar, di tutti
I miei teneri sensi, i tristi e cari
Moti del cor, la rimembranza acerba.






Belles étoiles de l’Ours, pouvais-je croire
Qu’un jour je reviendrais vous contempler
Scintillantes au-dessus du jardin de mon père,
Et deviser avec vous depuis les fenêtres
De cette demeure où j’habitais
Enfant et de mes joies connus la fin.
Alors, que de chimères, que de fables
Engendrait votre vision dans mon âme,
Avec celle des lumières vos compagnes !
Quand, silencieux, assis dans l’herbe,
J’aimais à passer grand-partie de mes soirs
A contempler le ciel en écoutant le chant
De la rainette, au loin, dans la campagne.
Et la luciole errait sur les massifs
Les avenues odorantes et les cyprès
Là, dans la forêt, et sous le toit paternel
Les voix alternaient, et le calme
Travail des serviteurs. Que de tendres pensées,
Que de rêves immenses m’inspirait la vue
De cette mer lointaine, des cimes bleues
Que je découvre ici, et que je traverse un jour
Je me suis dit, mondes d'arcanes, arcanes
Le bonheur prétendant à ma vie !
Ignorant mon destin, et combien de fois
Cette vie douloureuse et nue
Je l'aurais volontiers changé avec la mort.

Ni mon cœur ne me disait qu’en ce bourg sauvage
De ma naissance je serais condamné
A perdre mon jeune âge, parmi des gens
Rustres et vils, pour qui science et savoir
Ne sont que noms étranges et souvent
Raison de se jouer, des êtres qui me fuient,
Me détestent, non par envie, ni pour me croire
Plus grand qu’eux, mais de penser que tel
Je me tiens en mon cœur, bien que jamais
Je n’en fasse montre à personne.
Là je passe mes années, obscur et délaissé,
Sans amour et sans vie, contraint de m’endurcir
Au milieu de cette misérable escorte :
Ici je me dépouille de pitié, de vertu,
Et j’en viens à mépriser les hommes
En approchant ce troupeau, cependant que s’envole
Le cher temps de ma jeunesse, oh ! plus cher
Que la gloire et le laurier, plus que la pure
Lumière du jour, le souffle de la vie !
Je te perds vainement, sans un plaisir,
Dans ce séjour inhumain, à travers les tourments,
O seule fleur de l’aride existence.

Voici le vent portant le son de l’heure
Depuis la tour du village. Cette voix,
Je me rappelle, consolait mes nuits d’enfant,
Lorsque dans les ténèbres de la chambre
Je restais éveillé par les terreurs coutumières,
Soupirant vers le jour. Ici, je ne puis rien
Voir ou sentir d’où ne retourne en moi-même
Une image, et ne surgisse un tendre souvenir ;
Tendre en soi, mais la douleur le suit
De penser au présent, et d’en vain désirer
Le passé, même triste, et de dire : je fus.
Là, ce balcon tourné vers les extrêmes
Rayons du jour et ces murs peints,
Ces troupeaux figurés, et le soleil qui naît
Sur des champs déserts furent les délices
De mes loisirs, quand allait près de moi,
Où que je fusse, et me parlait toujours
Ma puissance d’erreur. Dans ces salles antiques,
A la clarté des neiges, et quand le vent
Sifflait autour de ces vastes fenêtres,
Résonnèrent mes joies et le bruit
De mes jeux, dans ce temps où le mystère acerbe,
Le mystère indigne du monde apparaît
Plein de douceur ; alors, intacte et pleine,
L’adolescent comme un amant timide
Caresse en lui sa vie trompeuse
Et, s’inventant des beautés célestes, l’admire.

Espérance, ô espérances, charmantes chimères
De mon premier âge ! Toujours en parlant
Je reviens vers vous : bien que s’enfuie le temps,
Que changent les tendresses, les pensées,
Je ne sais vous oublier. Fantasmes, je le vois,
Sont la gloire et l’honneur ; les plaisirs et les biens,
Pur désir ; l’existence n’a pas de fruit,
Inutile détresse. Et bien que vides
Soient mes années, obscure et déserte
Ma condition mortelle, le sort m’enlève
Peu de choses, je le vois. Hélas, mais à vous
Que de fois je repense, ô mes espoirs anciens,
Comme à ce bien-aimé pouvoir d’imaginer !
Et je regarde alors mon existence
Si pauvre et si dolente, et la mort seule,
De tant d’espoirs, qui me reste aujourd’hui :
Je sens se serrer mon cœur et je ne sais
Comment me consoler de mon destin.
Cependant, quand la mort implorée
Sera là, et que j’aurai rejoint le terme
De mon infortune, quand la terre me sera
Une étrangère vallée, que de mes yeux
S’enfuira l’avenir, de vous sans doute
Je me ressouviendrai, et cette image encore
Me fera soupirer, rendra plus acerbe
L’être vécu en vain, et mêlera la douleur
A la douceur du jour fatal.

Déjà dans ma jeunesse, au premier tumulte
De bonheur, d’angoisses et de désirs,
Souvent j’appelais la mort, et longuement
Je m’asseyais au bord de la fontaine,
A la pensée d’effacer dans cette eau
L’espoir et ma douleur. Puis par un mal
Aveugle, qui fit incertaine ma vie,
Je pleurai la belle jeunesse, je pleurai
La fleur de mes pauvres jours qui si tôt
S’en allait. Et souvent aux heures tardives,
Sur ma couche complice, écrivant
Sous la faible lampe, dans la douleur
Je pleurais avec la nuit et le silence
Mon souffle furtif, et dans cette langueur,
Je chantais à moi-même un chant funèbre.

Qui peut vous rappeler sans un soupir,
O premier seuil de la jeunesse, ô jours
Légers, jours ineffables quand les jeunes filles
Pour la première fois sourient à l’homme
Emerveillé ? Toute chose à l’entour
Lui semble sourire, l’envie se tait,
Dormeuse encore ou légère, et le monde
(Merveille sans renouveau !) lui tend presque
Une main secourable, pardonne
Ses erreurs, fête son entrée nouvelle
Dans la vie, et s’inclinant vers lui,
Montre qu’en seigneur il l’accueille et l’appelle.
O jours fuyants ! Aussi vifs que l’éclair
ils ont disparus, et quel mortel peut douter
Du malheur, si la belle saison déjà
S’est échappée de lui, si son temps le plus doux,
Si la jeunesse, hélas, la jeunesse est passée ?

Ô Nérine, et comment ne pas entendre
Ces lieux parler de toi ? Aurais-tu fui
De ma pensée ? Où t’en es-tu allée pour qu’ici
Je ne trouve de toi qu’un souvenir,
O ma douceur ? Notre terre natale
Ne te voit plus, et cette fenêtre,
Où c’était l’usage que tu me parles,
Et qui luit d’un triste rayon d’étoile,
Est déserte. Où es-tu ? Je n’entends plus
Sonner ta voix, comme en ces jours passés
Où l’accent le plus lointain de ta lèvre
Qui m’arrivait, toujours faisait pâlir
Mon visage ? Autres temps. Tes jours
Ne sont plus, mon doux amour. Tu es passée. D’autres
Ont reçu de passer aujourd’hui par la terre
Et d’habiter des collines odorantes.
Tu es passée, rapide, et comme un songe
Fut ta vie. Tu t’en allais dansante et la joie
Illuminait ton front, illuminait tes yeux
Ce rêve confident, cette lumière
De jeunesse, quand le Destin les as clos
Et que tu t’es couchée. Ah ! Nérine, en mon cœur
Règne l’amour ancien. Et si parfois encore
Je vais à quelques fêtes ou dans le monde,
Je me dis : O Nérine, tu ne vas plus
Dans le monde, plus ne te pares pour les fêtes.
Quand Mai revient, que les amants s’en vont
Porter aux jeunes filles rameaux et chants,
Je me dis : Ma Nérine, pour toi jamais
Le printemps ne revient, ne retourne l’amour.
A chaque jour serein, chaque pente fleurie
Que je vois, ou plaisir que j’éprouve,
Je dis : Nérine n’a plus de plaisir, les champs,
Les airs, elle ne les voit plus. Ah ! tu as fui,
Mon éternel soupir ! Tu as fui : désormais,
Pour compagne de mes belles chimères,
De tous mes tendres désirs, les chers et tristes
Elans du cœur, j’aurai ta souvena


Traduction : Michel Orcel, 1981




Autres textes du même auteur :

A se stesso - A soi-même
A Sylvia - A Sylvia
Alla Luna - A la lune
Il passero solitario - Le passereau solitaire
Il tramonto della luna - Le coucher de la lune
L'infinito - L'infini
La quiete dopo la tempesta - Le calme après la tempête
Ultimo canto di Saffo - Le dernier chant de Sappho






_________________
La poésie, c'est les paroles éparses du réel (Octavio Paz)
Gil Def
Gil Def
Admin

Masculin
Nombre de messages : 6806
Age : 75
Localisation : Nord de la France
Date d'inscription : 16/11/2007

Revenir en haut Aller en bas

Revenir en haut


 
Permission de ce forum:
Vous ne pouvez pas répondre aux sujets dans ce forum